Gli argomenti gastronomici di cui vi accenno stasera (accenno perché c’ho anche altro da fare), sono il riciclaggio del fondo di cottura e quella meraviglia assoluta che è la pentola a pressione.
Il fondo di cottura è cioè rimane nella pentola dalla cottura di un cibo, in genere carne o verdure, noto anche come sughetto con cui fare la scarpetta, che a volte contiene anche dei detriti di cibo più consistenti. Il fondo è un’ottima base per preparare dei risotti il giorno dopo, o talvolta anche della pasta con l’aggunta magari di pomodoro come coagulante.
L’arnese che meglio si presta a fare questa doppia operazione, è la pentola a pressione. Un giorno ci cucini carne e verdura, il giorno dopo in quello che avanza ci fai il risotto. La figata di entrambe le situazione è che metti gli ingredienti interi, e li togli cotti senza bisogno di rigirarli, in particolare il riso.
Per fare il risotto in pentola a pressione, basta mettere il riso, tutti gli ingredienti secchi, il doppio di acqua rispetto al riso. Chiudi e a partire dal fischio riapri dopo il 70% del tempo di cottura indicato sulla confezione. Per alcuni tipi di riso, basta il 50%. Insomma, in 10/15 minuti hai fatto un risotto.
Quello che ho cotto ieri, è stata una lonza di maiale, con finocchi e carciofi, speziata con rametti di rosmarino fresco, pepe nero in grani, salvia, menta, un chiodo di garofano e uno spicchio d’aglio. Nel fondo ho lasciato alcuni carciofi che poi col riso si sono sfaldati.
Il risultato è un risotto contrastato che oscilla tra la morbidezza dei carciofi (che una volta cotti ribaltano il proprio carattere e diventano dolci) e le note amare e pungenti delle spezie, in particolare con il rosmarino che arrotonda e pepe nero e menta che invece persistono, con una scia di leggera succulenza dovuta ai vaghi grassi residui della lonza di maiale.
Siccome il risotto era così ecclettico, ci ho altrettanto ecletticamente accostato un Ripasso della Valpolicella 2003, che alla fine è meno stonato di quello che si pensi. Il Ripasso infatti ha una pronunciata tannicità, direi quasi astringente e per questo instaura un bella lotta con la morbidezza del carciofo, mentre sulla persistenza è curioso l’inseguimento piacevole tra il tannino grezzo e il pepe nero. Insomma, il risotto dice la sua anche con un caratteraccio come quello del Ripasso. (Sarei curioso dell’opinione dell’anonimista :-))
Il Ripasso, per la cronaca, arriva dalla Corvina rifermentata una seconda volta sulle vinacce dell’amarone, da cui il nome Ripasso. Quello che ho preso è rosso granato con riflessi rubini (anche se la bottiglia dice il contrario, ma io la vedo così), intenso, abbastanza complesso, speziato con note di tabacco, pepe nero, liquirizia, con durezze prevalenti, in particolare il tannino appunto, quindi non particolarmente fine, ma drastico.
Il Ripasso della foto, c’è anche all’esselunga a pochi euri. Per curiosità, chi è che usa la pentola a pressione?