Premetto che mi unisco al coro degli entusiasti, per quanto ne possa capire io che sono solo un appassionato: il vino italiano va bene, anzi benissimo, tutti fanno grandi affari, cresce la qualità, cresce il fatturato, si battono i record, e tavolta anche i francesi. Tutto bene, tutti contenti?
Il Vinitaly, essendo la più importante fiera italiana del settore, e una delle più importanti al mondo, è, o dovrebbe essere, lo specchio di tutto ciò. E’ una fiera ricca, allegra, affollata, prestigiosa e popolare allo stesso tempo. Al Vinitaly ci sono tutti: i produttori di vino, i distributori, gli esercenti pubblici (bar, ristoranti, enoteche), i sommelier, il pubblico esperto, il grande pubblico dei curiosi e gli immancabili giornalisti.
Successo, affari e appagamento per tutti. Il Vinitaly fa soldi vendendo ai produttori gli spazi espositivi e al grande pubblico gli ingressi a 35 euro. I produttori fanno i soldi vendendo molto del loro vino ai distributori e poco direttamente agli esercenti. I distributori e gli esercenti riescono in un solo colpo e a bassissimo costo a incontrare tantissimi produttori e i loro vini. I sommelier e il pubblico esperto riescono in una volta sola ad assaggiare tantissimi vini, allargando la loro conoscenza. Il grande pubblico si può tuffare in questo mondo di mille profumi e gusti, assaggiando vini che nella vita quotidiana non acquisterebbero mai per il prezzo. I giornalisti hanno mille notizie e approfondimenti per i loro lettori.
Ma non tutto torna.
Il Vinitaly era in origine , come tante altre, una fiera business, e gli attori business sono chi ha il vino (produttori) e chi ha i soldi, tanti (distributori) o pochi (esercenti).
Ma poi si sono aggiunti i sommelier che sono i promotori e i venditori dei vini al pubblico.
Quindi i giornalisti specializzati e ultimamente illustri blogger di settore.
E poi ancora è arrivato il pubblico esperto, la crema della clientela, quella che spende volentieri ingenti cifre per le bottiglie.
E infine ecco il grande pubblico che non rappresenta nulla, non fa nulla e non ha nulla, se non che questi clienti occasionali presi tutti assieme valgono tantissimo.
E, come fastidioso ma irrinunciabile effetto collaterale, ecco i giornalisti generalisti a fare da cassa di risonanza.
Per i produttori, gente come i sommelier, la ristretta clientela esperta, i giornalisti, allineati o cani sciolti che siano, e i blogger, sono ancora gestibili, sopportabili e talvolta benvenuti.
La contraddizione nasce laddove per i produttori il grande pubblico non rappresenta un’opportunità, ma una spesa in più per tutto il vino gratis che devono dare da bere, per la perdita di tempo e di spazio nello stand spesso minuscolo e costato caro.
Ma dall’altro lato il grande pubblico ha pagato 35 euro per una fiera che ti promette di poter conoscere e bere il meglio del vino italiano e straniero, e non per guardare ma non toccare, e pretende di berlo.
Questa contraddizione, chiariamoci, è appena accennata e lievemente percepita. Suppongo, pronto a essere smentito, che qualunque privato è potuto entrare in questo vinitaly e bere di tutto e di più e uscire anche ubriaco per chi desiderava solo questo effetto. Suppongo anche che qualunque produttore può altrettanto dire che ha concluso dei buoni affari e che l’investimento produrrà un guadagno significativo.
Deve essere così, altrimenti il vinitaly non avrebbe successo.
Regna spesso il buon senso: il produttore ha lo stand con tavoli business all’interno e bancone per il pubblico all’esterno. Tuttavia è vero che il produttore si accolla un costo (il vino dato gratis) i cui benefici non vanno a lui ma al Vinitaly (i 35 euro del biglietto).
Però rispetto allo scorso anno ho avuto l’impressione che nei produttori cresca il fastidio per i questuanti privati, e che nel pubblico crescano i mormorii per gli stand sbarrati. Piccole crepe in una organizzazione quasi perfetta, in quella che forse è la migliore fiera in assoluto in Italia, l’evento fieristico dell’anno. Tuttavia decisamente un’aria diversa tirava a Villa Favorita, fiera talebana dei vini naturali, di cui scriverò.
Una volta, solo 7 anni fa, l’evento fieristico più importante dell’anno era lo SMAU, un’altra fiera che era nata business tanti anni, prima, era diventata un successo enorme di pubblico consumer, e che in pochissimi anni è collassata ed è implosa per questa contraddizione, per questa doppia anima schizofrenica business e consumer. Chiunque nel 2000 avrebbe dato lunghissima e prosperosa vita allo SMAU, la fiera a cui non si poteva mancare e chiunque poi non c’è più andato. Così lo SMAU si è per il momento salvato tornando a essere una fiera fiera di essere esclusivamente business. Che sia il futuro anche del Vinitaly? Intanto, per svariati produttori francesi che hanno esposto quel cartello sopra al bancone, la fiera solo business è già il presente.