(foto di Medo)
Con la scellerata che ha deciso di abitare qui stavamo discutendo del perché comprare un cappotto di cachemire a 600 euro sia normale, mentre comprare un Brunello di Montalcino a 40 euro è folle.
Lo spunto in realtà è il dossier sul marketing del vino che la colei sta allestendo e il fine settimana a Montepulciano dove siamo andati a vedere come funziona la Strada del Vino Nobile di Montepulciano in quanto associazione che ha lo scopo di promuovere (e quindi fare marketing) dell’omonino vino.
Abbiamo apprezzato tanto l’organizzazione e l’attività della Strada. Sono veramente bravi. Consigliamo a tutti di fare uno dei loro tour. Giustamente loro puntano sulla tipicità, sul territorio, sull’esperienza sul luogo. Venite qui e non vi scorderete di Montepulciano e del suo Vino Nobile, questo è il leit motiv.
Tuttavia io osservavo che pur essendo sacrosanta la promozione di un prodotto inserito nel suo territorio di origine e la sua tipicità, tutti gli stradaioli del vino italiani dovrebbe avere presente anche una missione latente a tutti comune e per tutti doverosa: quella di far capire cosa è il vino, prodotto fino a pochi decenni fa conosciutissimo dalla gente comune e oggi di fatto oggetto misterioso.
Pensiamo a cosa sappiamo del vino in quanto gente comune. Provo a dire alcune cose.
Con la carne ci va il vino rosso, col pesce ci va il vino bianco. Per festeggiare ci vuole lo spumante. Lo champagne è un lusso. Il vino francese è raffinato. Invecchiando il vino migliora.
Sono cose vere o false? Non importa. Questo è ciò che costituisce il corpus di conoscenze della gente comune sul vino.
Vediamo cosa sa la gente comune invece per esempio della carne.
C’è la carne di pollo e di tacchino che sono bianche e sono quelle che costano meno, quella di maiale che costa un po’ di più ed è sempre bianca ma un po’ più colorata; di agnello costa ancora un po’ di più ed è più scura e saporita, di vitello che costa di più ed è tenera ed è chiara. Quella di manzo vira al rosso vivo e costa abbastanza, di bovino adulto inizia a costare qualcosa meno, salvo la fiorentina che costa tanto ed è tipica di firenze e della toscana. Le salsicce si fanno con quella di maiale, così il prosciutto e il salame. Il miglior prosciutto è quello di parma, che è dolce, ma c’è anche il san daniele, che è meno dolce, il taglio migliore è il filetto e infatti costa, le braciole di maiale si fanno alla griglia, la fesa ti tacchino anche ma non solo, il petto di pollo pure ma volendo anche col vino bianco dopo essere stato infarinato e sono le scaloppine. La cotoletta alla milanese c’è chi dice che va fatta col vitello chi col maiale, chi con l’osso, chi senza, chi fritta nell’olio, chi nel burro. E ognuno sostiene di avere la sacrosanta ragione.
Volendo si può continuare per parecchie righe a dire cose che praticamente sanno in molti se non tutti sulla carne. Stesso discorso sul pesce.
Ovvero: abbiamo una certa competenza gastronomica sia sulla materia prima che sulle tecniche di cottura. Percepiamo, comprendiamo e accettiamo come normali differenze di prezzo che possono andare dai 3 euro al chilo per il pollo ai 30 euro per il filetto di manzo.
Sul vino invece ci siamo fermati a quanto sopra. Che altro sappiamo? Non sappiamo spiegarci che un vino bianco è fatto da un uva che si chiama Pinot Nero. Mischiamo una zona di produzione e un vitigno (mi piace il chianti e mi piace il nero d’avola). Non sappiamo nulla sul processo di produzione del vino, salvo che l’uva viene raccolta e pressata nei tini di legno coi piedi. Veramente? E perché il vino si mette nella botte. Ma si mette tutto nella botte? E grande quanto la botte? Di che tipo di legno? Barricato è una parolaccia per esperti? Beh e allora perché tutti sappiamo la differenza tra una pentola a pressione, una bistecchiera, una casseruola e una teglia di alluminio usa e getta e non sappiamo la differenza tra un tino di fermentazione e una botte per la maturazione? Se entriamo nella cucina di un grande cuoco riconosciamo tutta l’attrezzatura, ma se entriamo in una cantina riconosciamo poco e magari facciamo pure confusione.
Ancora un’altra piccola provocazione. Facciamo il gioco degli insiemi. Dividiamo questo elenco di cose in due insiemi: pollo, marjuana, rum, torta, spaghetti, vino, aperol, formaggio.Come li mettiamo? Così?
gruppo 1: pollo, torta, spaghetti, formaggio
gruppo2: marjuana, rum, vino, aperol
D’accordo?
Io no. Secondo me vanno così:
gruppo 1: pollo, torta, spaghetti, formaggio, vino
gruppo2: marjuana, rum, aperol
Il motivo è che fino a quegli stessi decenni di prima fa il vino era un alimento, non una bevanda, né tantomeno una sostanza ludica alteratrice della coscienza. Veniva bevuto principalmente per il suo valore nutritivo.
Pensate forse che il contadino che si faceva fuori un fiasco al giorno lo faceva per ubriacarsi? Tanto che il consumo di vino in italia 50 anni fa era il doppio di oggi. Certo, chissà che vino beveva il contadino. Principalmente il suo vino, beveva. Perché per tornare al discorso di prima, il vino se lo faceva e quindi sapeeva tutte quelle cose sopra, magari in maniera approssimativa e grossolana, ma sapeva che una cosa era la fermentazione e una cosa è l’invecchiamento.
Quindi, con l’uscita del vino dal nostro vissuto quotidiano, abbiamo perso le conoscenze sulla sua produzione, sulle sue caratteristiche e varietà, sulla valutazione della sua qualità e del suo valore economico, e da alimento è diventato una bevanda, misteriosa tanto quanto l’aperol, e la cui conoscenza è riservata agli esperti e la millantazione agli snob.
A noi rimane che ci piace il chianti o il nero d’avola o la bevanda di atlanta o quella schifezza immonda dei bacardi colorati di verde pisello, arancione semaforo e rosso assorbente. Ecco.
Fondamentalmente non sappiamo dare valore al vino e se una bottiglia costa 50 euro ci pare una follia e non li spenderemmo mai anche se ne spendiamo 600 per il cappotto di cachemire o 200 per certe scarpe o 40.000 per una certa macchina tedesca.
Beh, ma il cappotto serve per vestirsi, le scarpe per calzarsi, la macchina per spostarsi che i mezzi pubblici fanno schifo. Il vino invece non serve a nulla, è uno sfizio, cazzo spendi un patrimonio? Fatti furbo come il Gigi, c’ha il vino b(u)ono che costa poco, è quello del contadino dell’oltrepò, che gli era rimasto solo quello per lui e gli ha venduto lo stesso una damigiana, e chi lo dice però al Gigi che il furbo è il contadino che gli ha venduto il peggio del peggio che gli stava andando in aceto e che nemmeno si sa in che condizioni igieniche è stato prodotto e conservato?
Cioè quelle sono cose necessarie che devono essere di pregevole fattura e quindi costare una cifra mentre il vino è superfluo e che sia aceto ma che costi come vino?
Appuntiamo brevemente che ci sono anche i cappotti da 100 euro, le scarpe da 50 euro e le macchine da 8.000 euro così come il vino da 3 euro. Appunto facile che finisce qui.
Invece è più importante secondo me che capiamo il concetto di necessario e quello di superfluo. Partiamo dal fatto che viviamo in una società opulenta. Ovvero, disponiamo di una ricchezza nettamente superiore rispetto a quanto abbiamo bisogno per sopravvivere. Per cui non solo spendiamo parte di questa ricchezza in attività completamente non necessarie (per telefonare e viaggiare per esempio), ma anche negli acquisti necessari come il vestirsi la maggior parte dei soldi viene spesa in senso edonistico e non in senso necessario. Altrimenti tutti andremmo in giro con vestiti cinesi, scarpe vietnamite e automobili indiane.
Quindi non c’è questa differenza. La logica che ci porta a comprare le scarpe, la macchina, il cappotto e il vino è sempre la stessa: ed è quella edonistica. Ne vogliamo godere.
Un’altra obiezione è che il cappotto di qualità che costa tanto dura tanti anni, mentre il vino di qualità così come quello scarso da pochi euro dura le poche ore di una cena. Veramente è così?
E’ la stessa cosa avere un cubo di tavernello e una bottiglia di Brunello?
Del Brunello iniziamo a goderne già prima di possederlo, solo a desiderarlo, come il cappotto. Se qualcuno gode a desiderare il tavernello, che vada a farsi curare. Poi l’acquisto. Vai a comprartelo a Montalcino, all’enoteca della fortezza, una vera e propria e splendida boutique del vino, con tutte le annate e tutti i produttori di Brunello, un tempio per il Brunello così come è un piccolo tempio quella boutique in via montenapoleone dove andiamo a goderci l’acquisto di quel magnifico cappotto di cachemire firmato.
E poi il cappotto di cachemire lo portiamo con cura a casa, lo riponiamo con tutte le attenzioni nell’armadio e lì lo conserviamo, non mancando di mostrarlo a eventuali ospiti come capo di abbigliamento pregiato e indossandolo solo nelle occasioni speciali.
Ma anche il Brunello ce lo portiamo con la massima cura a casa e lo riponiamo nella cantina, nello scaffale dei vini o nella cantinetta che sia, e non manchiamo negli anni di venerarlo, di contemplarlo, di mostrarlo agli amici come pezzo pregiato, promettendo di aprirlo solo per un’occasione speciale. Ma come dice Maya in Sideways, non bisogna aspettare un’occasione speciale, bere uno Cheval Blanc del ’61 è un’occasione speciale! E quando questa dovesse arrivare, ce lo godremo nel rievocarlo per anni, ti ricordi quel magnifico vino cappotto di cachemire, cara?